Strage di Capaci

23.05.2025

Nel 23 maggio 1992 Giovanni Brusca azionò il telecomando che provocò l'esplosione di 1000 kg di tritolo sotto l'autostrada Palermo Trapani. Lì, quel giorno, nel mezzo di un viaggio in macchina che lo avrebbe riportato nella sua Palermo, Giovanni Falcone perse la vita. E la persero con lui la moglie Francesca Morvillo, e i suoi agenti scelti, la sua scorta, i suoi angeli custodi.
 Solo la terza vettura di scorta si salvò miracolosamente insieme ad una ventina di persone che al momento dell'attentato si trovarono a transitare con le proprie autovetture sul luogo nei pressi di Capaci.
 E quel notiziario nessuno se l'è dimenticato: non l'hanno dimenticato coloro che avevano sistemato il tritolo, coloro che avevano ordinato di sistemare il tritolo, ma più di tutti, non l'aveva dimenticato "u curtu": Totò Riina aveva appena stappato il migliore dei suoi champagne.
E Borsellino sapeva di essere il prossimo, sapeva di essere solo un ostacolo in più, che sarebbe sicuramente stato eliminato nell'imminenza: aveva cambiato atteggiamento verso i figli, non salutandoli più con lo stesso calore, quasi per prepararli alla sua assenza; aveva intensificato il lavoro, cercando di completarne più possibile prima che fosse troppo tardi; e aveva affermato di "sentire il rumore del tritolo", rumore che dopo 57 giorni dalla morte di Falcone, portò via la vita anche a lui. Stavolta però fu una fiat 126, parcheggiata nei pressi dell'abitazione della madre, riempita con 100 kg di tritolo, a portargli via, oltre alla vita, anche l'ultimo saluto alla mamma. Ma le vite strappate non sono mai sole: insieme a lui, anche i ragazzi della sua scorta: Agostino Catalano, 43 anni; Emanuela Loi, 24 anni; Claudio Traina, 27 anni; Eddie Cosina, 31 anni; Vincenzo Li Muli, 23 anni: morti di coraggio.

Se dovessimo celebrare un anniversario per ogni morte causata dalla mafia però vi sarebbero commemorazioni ogni giorno: solo Cosa Nostra ha strappato più di 5.000 vite, senza contare tutti quegli omicidi che non sono mai stati attribuiti alla mafia, tutti quelli irrisolti o insabbiati, e senza contare estorsioni, intimidazioni, disastri ambientali e attentati, che causano vittime indirette. Se poi si pensa alla mafia in generale, considerando anche la Ndrangheta, la Camorra e la Sacra Corona Unita, la stima supera le 10.000 persone: innocenti, magistrati, testimoni, pentiti, poliziotti, politici, imprenditori, ma anche mafiosi stessi.

Basti ricordare Giancarlo Siani, Mauro Rostagno, Rosario Livatino, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Peppino Impastato, Piersanti Mattarella, Don Pino Puglisi per tornare tra gli 80 e 90, in una lotta che affonda le radici nei primi anni del 1900 e che rischia di non concludersi mai.

E quindi ogni anno, nel 23 maggio, ricorre la Giornata della Legalità: un'occasione un po'isolata, abbandonata, un po' dimenticata, specialmente se la mafia la si ha in casa, o, ancora peggio, in parlamento.


<<E ora cosa resta?>>
 
Gli Dèi hanno concesso alle vittime della carne di tramutare il corpo martirizzato in polvere astratta che si insidia nelle menti di chi resta: gli ideali.
Il sangue che sgorga dalle ferite del freddo uomo diventa una lacrima che attraversa la guancia calda di un bambino sconvolto; le ceneri volano come i denti di leone e il desiderio espresso con un soffio verrà realizzato dal fanciullo piangente.
 <<E ora cosa resta?>>
 
Quel bambino piange il sangue di Falcone dopo che ha visto la madre portarsi una mano sulle labbra, la rosa che gli bacia la fronte prima della buonanotte, e scuotere il capo all'udire della tragedia lungo la strada di Capaci: perché la mamma era così triste per la morte di gente che non conosceva davvero?Non riuscì a spiegarselo fin quando non divenne egli stesso carne da macello per il regno di un re dispotico e arrogante: un uomo che non girava per le strade di Palermo, non si faceva coccolare dal sole rovente e ripudiava i fiori d'arancio che annunciavano la fine della stagione di Cerère.
 Lo immaginava in covo, in una grotta soffocante, mentre portava alle labbra un sigaro, contando i spiccioli conquistati con il suo titolo da monarca; il re Riina non accettava nemici e dispensava il suo tempo alla ricerca della morte più creativa da assegnare a questo servo ribello. Ma il bambino, ormai cresciuto, non voleva essere una marionetta di quel signore dalle spine sulle labbra, voleva lottare come gli anarchici.
 Si recò nel punto in cui il re Riina si scontrò con l'anarchico Falcone: sentì l'inebriante profumo d'agrumi, la sua terra odorava di buono e non solo di sangue incrostato.
 Per un attimo chiuse gli occhi, un brivido gli percosse l'anima; eccoli lì, si nascondono nell'angolo della bocca di mamma tappata da un palmo rovente o nel sigaro bucato dalle spine della rosa: gli ideali.
 
<<E ora cosa resta?>>
 
Quel bambino, il neo adulto, lotta per quell'anima strappata precocemente dal corpo di un eroe e decanta le sue spoglie seguendo le sue orme.
Perché la mafia un giorno cesserà di esistere, come qualsiasi fatto umano, e il re dispotico diverrà carne da macello per gli anarchici affamati di giustizia, di quella vera.
 
Non ci saranno più lacrime, non ci sarà più il terrore, fin quando ci saranno quei bambini spaventati e piangenti che sono diventati adulti migliori: essi sono coloro che plasmano se stessi con gli ideali, che vivono per la realizzazione di essi. 
<<E ora cosa resta?>>
 
Cosa vuoi lasciare?

A cura di: Serena di Girolamo e Gaia Russo 


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