La pace non è solo un’utopia

11.04.2025
Viviamo in un mondo che parla spesso di progresso, di cooperazione, di "villaggio globale", ma basta aprire un giornale per scoprire che la realtà è ben diversa: guerre, tensioni, barriere, nazioni che si chiudono in se stesse, popoli che si affrontano per motivi economici, religiosi, culturali. Non è solo una questione di armi o di soldati. Ci sono conflitti meno evidenti, ma altrettanto distruttivi, come quelli economici. Ricordiamo la guerra commerciale iniziata durante la presidenza di Donald Trump, quando gli Stati Uniti hanno imposto dazi a vari paesi per proteggere i propri prodotti. Una mossa che ha creato tensioni, ritorsioni e instabilità globale. Un esempio perfetto di come si possa fare guerra anche senza sparare un colpo.

Ma perché continuiamo a cadere in queste dinamiche? Una risposta potrebbe essere che, in fondo, la logica del conflitto è ancora profondamente radicata nella mentalità di molti. L'idea che per vincere bisogna che qualcun altro perda, che la competizione sia più importante della cooperazione, che "difendersi" significhi sempre attaccare per primi. Eppure, la storia ci insegna il contrario.Le guerre, da quelle mondiali a quelle più recenti e regionali, hanno portato morte, distruzione, odio, ma raramente vere soluzioni. Dopo ogni conflitto, infatti, si torna sempre al punto di partenza: il bisogno di dialogo. E allora viene da chiedersi: perché non partire da lì? Perché non scegliere fin da subito la strada della pace?Attenzione però: la pace non è solo assenza di guerra. È un modo di pensare, di agire, di vivere, è scegliere ogni giorno la convivenza al posto dello scontro, è riconoscere che l'altro, anche se diverso, ha lo stesso diritto alla dignità, alla sicurezza, alla felicità. La pace si costruisce con gesti concreti, con politiche intelligenti, con il rispetto delle diversità. In questo senso, la parola tregua assume un valore profondo: non è solo una pausa nei combattimenti, è un atto di coraggio. È il momento in cui si sceglie di ascoltare invece di attaccare.

Hannah Arendt, nel suo famoso saggio "La banalità del male", ci ricorda che i più grandi orrori della storia non sono stati compiuti da mostri, ma da persone comuni che hanno semplicemente smesso di pensare. Hanno obbedito, hanno seguito la massa, hanno rinunciato alla responsabilità. Per questo oggi più che mai serve riflettere. Capire che la pace non è passività, ma impegno. Non è silenzio, ma dialogo. Non è debolezza, ma forza vera.Noi, come studenti, come cittadini, come esseri umani, abbiamo un ruolo. Possiamo alimentare conflitti, o possiamo costruire ponti. Possiamo continuare a pensare in termini di "noi" contro "loro", oppure possiamo iniziare a pensare in termini di "insieme". La tregua non è un sogno ingenuo: è un'alternativa concreta, ragionevole, necessaria. Se vogliamo un futuro migliore, dobbiamo iniziare ora. Perché ogni atto di pace, anche piccolo, è una vittoria contro la logica della guerra.
E ogni voce che parla di tregua è una speranza per il mondo che verrà.

A cura di: Gioia Picascia 

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