La Mosca Bianca

Quando incontrate una mosca bianca, chiedete perdono per i vostri peccati; aspettate il bacio di quella creatura, sperate il suo arrivo per considerarvi salvi: solo la grazia della purezza può sollevarvi dall'Inferno e lasciarvi volare insieme a lei fra le infinite stelle.
Il piccolo insetto si nasconderà non appena voi cercherete di accarezzargli la sottilissima ala che gli permette di volare; ma ancor di più, la mosca bianca temerà che le increspature delle sue appendici vengano messe in risalto da una goccia di sangue che cadrà dal dito di un demone.
Ma quello stesso essere degli Inferi ha visto in quelle cicatrici la speranza di tornare in Paradiso, la possibilità di tornare a vivere…
La speranza vive anche nel più profondo degli abissi; il dolore perpetuo si cela in una leggera macchiolina nell'interno coscia, un "non è nulla" che è tutto.
Il torcersi i capelli attorno alle dita, così forte da spezzare piccoli fili ramati e arrossare le ossute falangi, è solo uno sfogo alla noia.
E vediamo lì nel fitto buio della notte, una piccola mosca bianca che si poggia sulla spalla di questo piccolo ragno impegnato nella tessitura della sua fittissima tela; si inorridisce quella purezza quando entra in contatto di quel sangue di cui tanto tremava… capisce che quel piccolo demone è condannato alla sua stessa battaglia.
Anche quella creatura è stata costretta dal Fato a punire sè stessa per essere stata forgiata dagli abissi e non dall'alto dei cieli!
La mosca bianca continua ad osservare quel demone così dannatamente puro: di giorno egli si mimetizza perfettamente tra la folla, fa anche un po' lo sbruffone, e non traspare nessun segno di ciò che accade la sera, quando resta solo con sé stesso.
Lasciarlo solo è come gettarlo in una folla di centomila altri demoni, obbligandolo a stare in silenzio e, quindi, reprimere quell'urlo che potrebbe renderlo libero.
Il demone vive nel silenzio soffocando la sua voce in un fiotto di sangue a cui segue una cicatrice e, ancora, un dolore ancora più fitto del rossore della pelle: è più facile annientarsi piuttosto che trovare una via di fuga da quella folla.
E se non fossero bastate le ferite, sparse un po' di qua e un po' di là, egli avrebbe tentato il taglio della libertà: avrebbe afferrato un coltello, fitta lama argentea, e avrebbe posto fine a un volo continuo negli abissi tagliando le stessi ali su cui la mosca bianca pianse lacrime amare e… morì.
Non aveva salvato quella creatura crudelmente splendida e il suo piccolo cuore, se mai ne avesse avuto uno quell'insetto, bruciò come la zona del corpo martirizzata da una lama stretta nella mano del demone.
E il figlio degli Inferi rimase pietrificato quando vide che il suo dolore aveva travolto quella briciola di speranza racchiusa nell'insettuccio perlaceo: si strinse nelle sue cicatrici e scoppiò in lacrime, un encomio alla mosca bianca sancì la sua fine.
Il demone e la mosca bianca appartengono ad un'unica specie: l'umano che si dà la colpa di essere qualcosa e di non essere altro.
Colui che compiange i suoi atti vili nei propri confronti e poi non riesce a smettere, sfogare con la violenza diventa un'ossessione; quel circolo vizioso diventa l'unica cosa che tiene in vita quell'essere.
Un paradosso, no?
Ciò che lo distrugge, fisicamente e ancor più mentalmente, lo sprona a respirare a pieni polmoni tutta l'aria possibile.
Ciò che disperde globuli rossi e piastrine è ciò che pare ricucire ogni ferita; una lama che guarisce più di un cerotto, è salvezza o schiavitù?
La verità è che l'anima dell'uomo è un abisso e la carne ha paura di sprofondare tra le braccia di Lucifero: siamo stati abituati a pensare che la vera sofferenza è essere demoni, piuttosto che mosche bianche.
Il problema sorge quando si è entrambi; inizia la partita a scacchi e chi ucciderà il Re sarà sempre lui: te stesso.
A cura di: Gaia Russo