I Martiri di Chicago

01.05.2025

"Verrà il giorno in cui il nostro silenzio sarà più forte delle voci strangolate oggi".

-August Spies, condannato per la rivolta di Haymarket, Chicago, nel 1886.

Il giogo dei giovenchi ha stretto troppo il collo finissimo di un collo perlaceo, una fatica troppo grande ha piegato il giovane Ercole; l'uomo è stato oppresso da sé, spinto verso qualcosa di più grande ed astratto: l'onnipotenza.
È una malattia silenziosa che si insinua nelle suture del cranio fino a raggiungere la spina dorsale, la strada che porta ai visceri, per segnalare la sua permanenza: la propensione ad elevarsi al di sopra della propria specie -paradosso che supera quello della metafisica classica- porta al sentimento di impotenza di fronte a coloro che riescono a scalare l'Olimpo, Reggia degli Onnipotenti.

Ma chi sono i veri potenti, gli eroi dalle mille imprese?
Spesso si accosta il termine "potente" a colui il cui capitale ammonta ad un cifra con vari zeri, dando un valore economico anche all'uomo.
Diamo un prezzo a tutto, perfino alla nostra stessa vita ed è ciò che ha portato centinaia di uomini a sacrificare la propria ad un costo inferiore del proprio salario.

Ci troviamo agli albori del mese delle rose e le spine lacerano le falangi di gentiluomini americani quando altro sangue si getta nel delta delle rivoluzioni; sulla rosa rossa cade un'altra goccia di liquido rosso più denso delle lacrime dei peccatori.
La semplice richiesta di chi sopporta il peso dei capitali, del lavoro, ha portato ad una scia di sangue, ad un fiume che scorre e mai s'arresta.
 Un petalo di papavero si confonde nella folla che si azzuffa per il titolo di "vittima" senza riconoscere il proprio carattere da carnefice; in sintesi, accadde ciò che i potenti amavano fare di più: invece di ascoltare i lavoratori, la gente che proseguiva la loro vita in un'industria soffocante, hanno deciso di soffocarli ancor di più fino a fargli perdere l'ultimo filo di voce.

La mattina del primo maggio, infatti, i lavoratori avevano intrapreso la propria battaglia tramite scioperi, un modo più che pacifico per far sì che diminuisse l'orario di lavoro a 8 ore dalle 12 (anche 16) ore iniziali: oltre che sopportare il lavoro, volevamo vivere.
 Ma la vita è un lusso dei ricchi e due giorni dopo scoppia l'Inferno: la polizia irrompe nel luogo del raduno dei manifestanti -la fabbrica McCormick- e piovono arresti senza validi motivi (una situazione che potrebbe ripetersi facilmente anche oggi, non credete?).
 La situazione degenera totalmente il mattino seguente, il 4 Maggio, quando i manifestanti tentano ancora una volta di far sentire la loro voce pacificamente a Haymarket Square: la guerriglia fra prede e predatori finì nel sangue e con 8 condannati alla pena capitale, anche stavolta senza prove.
A che prezzo si chiede la vita?
A che prezzo si giunge alla morte?
 
È più facile soffocare nel fiume purpureo piuttosto che tenersi ad un rametto di legno, è più facile accettare la sconfitta piuttosto che lottare.
È una vittoria quella che giunge con la morte altrui? 
La fine di una battaglia arrivata con un sacrificio, è degna di essere festeggiata?
 La verità è che bisogna spingersi fino alla morte del fiume, temere il mare impetuoso, per aggrapparsi ad uno scoglio: per arrivare ad una svolta c'è bisogno della tragedia.

Il primo maggio è la "festa dei lavoratori" in onore di August Spies, Albert Parsons, Adolph Fischer, George Engel, Louis Lingg, Michael Schwab, Samuel Fieldem e Oscar Neebe: i Martiri di Chicago, coloro che hanno perso la voce per permettere le urla di oggi.

Ed è proprio da quelle urla, nate da quel silenzio spezzato, che la protesta nasce con un bisogno fondamentale: quello di esistere. Non come numeri, ma come esseri umani dotati di un'anima . Non come strumenti, ma come voci che urlano quando la propria dignità viene calpestata dalla violenza sistematica e dall' indifferenza imposta dall'alto.

Ma soprattutto è un diritto, non un favore concesso. È un argine alla tirannia, una diga contro l'abuso, una fessura da cui può filtrare la luce della giustizia.

Protestare significa ricordare che ogni potere ha un limite, che ogni autorità nasce dal consenso di chi si lascia governare , diventando un'arma di quella massa consapevole e pericolosa che non può essere fermata se non con la violenza.

Ricordare Haymarket non è solo commemorare il passato. È un richiamo al presente.
 È chiedersi se siamo degni di ciò che abbiamo ereditato.
 È riconoscere che i diritti si difendono ogni giorno, che la giustizia sociale non si ottiene una volta per tutte, che la lotta è una condizione dell'essere umano quando vuole vivere,e non solo sopravvivere.
 È la capacità di dire "no" quando tutto urla "accetta". È il coraggio di immaginare un domani diverso anche quando il presente sembra eterno.

 Perché, alla fine, se oggi possiamo alzare la voce, è solo perché qualcuno, ieri, ha preferito morire in piedi piuttosto che vivere in ginocchio.

A cura di: Gaia Russo e Francesca Barretta 


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